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La scelta di Guido.

🔴 𝐋𝐀 𝐒𝐂𝐄𝐋𝐓𝐀 𝐃𝐈 𝐆𝐔𝐈𝐃𝐎 𝐅𝐑𝐀𝐍𝐂𝐎, 𝐈𝐋 𝐅𝐈𝐆𝐋𝐈𝐎 𝐃𝐈 𝐂𝐀𝐃𝐎𝐍𝐄𝐆𝐇𝐄.

Dopo l’8 settembre del 1943 una generazione intera di giovani italiani, di ritorno dal fronte dopo il “rompete le righe”, si trova a un bivio terribile: andare con l’esercito di Salò, combattendo a fianco dei nazisti, o unirsi alla Resistenza, dandosi alla macchia.

Tra questi giovani, c’è Guido Franco. Vive nella via di Cadoneghe che ora porta il suo nome, al tempo un tratto di via Lauro. A detta di tutti, un ragazzo semplice, normalissimo, “gentile” come lo descrivono gli amici e le amiche. Eppure sarà capace di azioni di straordinario coraggio.

Nato il 5 ottobre 1921, Guido ha poco più di un anno di vita quando, con la marcia su Roma, Mussolini si prende il potere. Rimane orfano da piccolo, viene cresciuto dalla zia, la famiglia è molto religiosa e povera, vive di agricoltura, i fratelli maggiori fanno i camionisti. Guido frequenta la parrocchia di Mejaniga, è un credente. Tutta la sua vita terrena attraversa il ventennio fascista.

A poco più di vent’anni viene spedito a combattere in Sicilia, dove nel luglio del 43 sbarcano gli alleati. Dopo l’armistizio, si precipita a casa, ritrova i familiari, ed è in quel periodo che matura la “scelta”: decide di vivere due vite parallele, una segretissima e una alla luce del sole.

Da una parte aderisce segretamente ai GAP garibaldini di Padova, gruppi di azione patriottica: un’organizzazione che compie azioni rischiosissime e sanguinose come l’uccisione di fascisti locali e la liberazione di prigionieri, che hanno lo scopo di creare scompiglio e insicurezza tra i fascisti che si illudono di controllare il territorio. Dall’altra, aderisce alla Compagnia di Sicurezza, alle dirette dipendenze della Wehrmacht tedesca: l’adesione alla Compagnia, impegnata in azioni di supporto all’esercito tedesco, è l’unica alternativa all’arruolamento obbligatorio nelle fila dell’esercito della Repubblica Sociale.

Gli amici di Cadoneghe lo vedono partire tutti i giorni all’alba in bicicletta, assieme a Bruno Tonello, un altro cadoneghese che compie la stessa scelta, con il badile nello zaino e la divisa tedesca. In pochissimi sanno che si tratta di una copertura, una farsa, utile a non destare sospetti.

Tutto sembra andare per il meglio, ma purtroppo poche settimane prima della fine dell’incubo un partigiano arrestato dai fascisti, e torturato duramente, fa i nomi e tra i nomi c’è quello di Guido, nome di combattimento “Tino”.

Le voci corrono e si viene a sapere che stanno per arrestarlo. A Guido dicono di scappare ma lui sceglie di aspettare i suoi carnefici a casa, nella via che oggi porta il suo nome: non vuole mettere a repentaglio la vita dei familiari.

I fascisti, guidati dalla figura più violenta tra gli squadristi locali, lo prendono, lo torturano, infine lo condannano a morte assieme ai compagni Bruno Lazzaretto e Nerone Nalesso. La stampa fascista esulta per l’arresto dei tre “banditi”: “belve umane” li chiama.Dalla bocca di Guido non esce neanche una parola, i torturatori si accaniscono su di lui per giorni interi, al punto che alla vigilia della fucilazione il fratello Mario lo va a trovare, gli offre una sigaretta ma Guido non riesce neanche a tenerla in bocca, gli cade di continuo. In quell’occasione dà al fratello una lettera bellissima, toccante, semplice, com’era lui.

In quella lettera Guido chiede scusa per i suoi peccati e dà appuntamento a tutti i suoi cari in paradiso, nominandoli uno a uno.

Il 15 aprile, pochi giorni prima della Liberazione, alle 6:12 del mattino nella caserma di via Chiesanuova intitolata oggi a Pierobon, Guido, Bruno e Nerone vengono fucilati alla schiena dai fascisti della Brigata Nera “Begon”. I tre ragazzi, tutti ventenni, non muoiono subito, ma i fascisti girano i tacchi e se ne vanno. Il pubblico ministero del Tribunale Militare si arrabbia e i fascisti gli rispondono testualmente “Che ce ne fotte…”

E’ un poliziotto a sparare loro il pietoso colpo di grazia. Gli amici di Guido, partiti da Cadoneghe all’alba, vanno a chiedere il corpo, lo portano a Mejaniga su un carretto e gli fanno un “bel funerale”.

Così dice Severina Beccaro, sua cara amica, perché il “bel funerale” era la risposta civile e dignitosa di quella gente semplice all’orrore della barbarie fascista.

Bruno Tonello, l’amico e collega di Guido, riuscirà ad arrivare al 25 aprile ma pochi giorni dopo sarà una delle venti vittime dello scoppio della Casa del Fascio a Cadoneghe, come se il destino gli avesse solo rinviato di qualche giorno l’inesorabile appuntamento con la fine.

La nostra libertà non è un regalo del caso: la dobbiamo ai tanti ragazzi come Guido e come Bruno che fecero allora una scelta netta, di amore per la democrazia e di rifiuto totale di ogni fascismo. Non dimentichiamoli.

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